Può un curatore, in una antologia che sta preparando, inserire un suo racconto?
Alcuni pensano che non sia giusto, altri che sia perfettamente lecito, mentre qualcuno sostiene che in questi casi si dovrebbe utilizzare uno pseudonimo. Questa è la soluzione che mi piace di meno, perché prima o poi le cose si vengono a sapere (spesso è lo stesso autore a confessarlo, magari a distanza di anni) e quindi l’artificio è inutile. A meno che la persona in questione non usi, per uno dei suoi ruoli, uno pseudonimo e che questo sia già conosciuto: in tal caso si tratta di una abitudine tesa a distinguere le funzioni, ma visto che il nom de plume è noto la questione rimane aperta.
Questa questione non è pratica ma morale: a molti non sembra etico autopubblicarsi, perché pare che il curatore approfitti del suo ruolo per infilarci dentro una sua creazione, senza che ci sia un avallo superiore. In molti casi questo si è verificato, specialmente quando il curatore fosse noto appunto come tale, o come direttore di rivista, o critico e saggista, ma non come autore. Comunque qui è il lettore a fare giustizia: se il racconto non è all’altezza l’improvvido scrittore ne pagherà le conseguenze.
Io credo che non ci sia niente di scandaloso nel partecipare come autore a una antologia di cui si ha la curatela. Sia perché spesso l’editor è comunque uno scrittore, sia perché questi può voler dire la sua sull’argomento che sta trattando, e lo vuole dire in forma narrativa perché non può farlo nell’introduzione che dovrebbe essere più neutra possibile. Questo vale nel caso che l’antologia gli sia stata chiesta o suggerita, ma ancora di più se il soggetto è stato scelto da lui (e quindi gli è particolarmente caro).
Per quanto mi riguarda personalmente mi sono attenuto a questo principio: ho partecipato se il tema mi interessava, se ritenevo di avere qualcosa da dire, e mi sono astenuto in caso contrario. Come ho scritto sopra, alla fine sono i recensori e i lettori a giudicare.
In Ambigue utopie (Bietti 2010) c’è un mio racconto intitolato “Il potere logora”. Lo scrissi perché quando avevamo già 18 racconti mi accorsi che c’era un tema che non era stato affrontato, e trattandosi di una antologia fortemente politicizzata la mancanza di un racconto critico nei confronti della Chiesa non mi sembrava accettabile. Comunque il racconto ebbe l’avallo del co-curatore dell’antologia (che già me ne aveva bocciato un altro) Walter Catalano.
Per Notturno alieno (Bietti 2001) le cose andarono diversamente. A un certo punto avevo ancora 18 racconti e mi ero messo in testa che dovessero essere 19 come nell’antologia precedente, così ne riesumai uno mio sicuramente in argomento, “Morte di un astronauta”. Poi ricevetti ancora altre 3 scritti, ma a questo punto decisi di lasciare anche il mio: d’altra parte si trattava dell’unico già pubblicato (era apparso due volte, in una antologia di gialli in una versione differente e sulla rivista L’Eternauta), che era arrivato in finale al Premio Italia, e dunque c’era un consenso precedente.
Con Sinistre presenze (Bietti 2013), curata ancora con Walter Catalano, si ripetè la situazione del 2010: avevamo 16 racconti, un numero improponibile per una antologia horror: bisognava per forza arrivare a 17! Comunque amo poco “I suoni della morte” perché non mi trovo a mio agio nell’horror (ma c’è chi sostiene il contrario).
Terra promessa (tabula fati 2014) è stata una antologia chiestami dall’editore Solfanelli, sul tema della decrescita felice. Argomento molto difficile, e infatti non ebbi molte adesioni: per rimpolpare la lunghezza decisi di partecipare anch’io pur se non ne avevo voglia. Devo comunque ringraziare Walter Catalano che mi regalò un’idea che avrebbe dovuto sviluppare lui (in maniera molto diversa) e mi permise di scrivere un racconto al quale invece sono molto affezionato, “Effetto collaterale”.
Ne Il prezzo del futuro (La Ponga 2015) non riuscii a drammatizzare convenientemente l’idea che avevo in testa (ho ancora conservati diversi tentativi) e quindi scrissi un falso saggio secondo i canoni dell’utopia e della distopia classiche, cioè in forma di resoconto. Il co-curatore Vittorio Catani giudicò “Lo sterco del diavolo” comunque accettabile.
Finalmente, in Le Variazioni Gernsback (Edizioni della Vigna 2015), curata con Walter Catalano e Luca Ortino, non c’è nessun mio racconto (né degli altri curatori).
Ritorna invece un mio racconto in La cattiva strada (Delmiglio 2015), “Viola”. In realtà era un racconto che aveva già partecipato senza successo a un premio per noir inediti e mi era rimasto nel cassetto, ma visto che era in tema ho pensato di inserirlo con l’approvazione del mio collaboratore Roberto Chiavini.
Le ultime antologie, quelle del 2016, mi vedono assente in Oltre Venere (La Ponga), che essendo solo di scrittrici non poteva evidentemente ospitarmi, e in Delitti dal futuro (Istos) .
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Ritorno invece in Continuum Hopper (Edizioni della Vigna), curata con Roberto Chiavini e Luca Ortino, perché il tema mi interessava e mi sono (molto) divertito a immaginare certe variazioni grafiche a capolavori dell’arte – oggi peraltro comuni soprattutto in campo pubblicitario – dovute ad alieni (forse) impiccioni. Il racconto si intitola “Il gallerista marziano”.
Mi è capitato davvero raramente di autopubblicarmi, più che altro perché non scrivo da anni, ma non ci vedo nulla di male. Soprattutto se, insomma, il curatore ha sufficiente autocritica per sapere quello che sta facendo. Non è sempre vero, ma certamente lo è nel tuo caso.
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Ti ringrazio Silvio, anche se qualche dubbio mi resta…
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